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Maledizione all’ombra dei fratelli

Maledizione all’ombra dei fratelli

VITE PARALLELE Come leggere le biografie dei «personaggi minori» all’ interno delle famiglie celebri

caino_abeleAlcuni anni fa, a Trieste, a una festa di nozze, c’ era fra gli ospiti il fratello di Che Guevara, Ramón. Per essere più precisi, anche a costo di usare una parola dal suono antipatico, fratellastro, in quanto figlio dello stesso padre, ma di altra madre. Ma soprattutto nato dopo la morte del leggendario Che e inevitabilmente imbarazzato di essere, per tutti, essenzialmente il fratello di un mito e per di più da lui mai conosciuto. Che cosa poteva significare, per lui, quella parentela strettissima e astratta, quel morto così vivo, che rischiava di ridurlo solo alla sua ombra? Pure lui avrebbe potuto dire, come Serse Coppi quando gli si avvicinavano i tifosi del campionissimo Fausto, «sono solo il fratello».

Quella festa triestina potrebbe essere uno dei brevi, fulminei capitoli di un bellissimo libro che lascia il segno, scritto da Franco Bungaro e Vincenzo Jacomuzzi, Lei non sa chi è mio fratello!, che raccoglie – come dice il sottotitolo – storie di sorelle e fratelli, da Alighieri a Hitler. Anche quella frase di Serse Coppi si trova, in questo libro che ha la malinconia borgesiana dell’ erudizione e dell’ ombra e insieme una freschezza epica pervasa di humour, una simbiosi di riso e malinconia alla Spoon River.

Il rapporto tra fratelli è di per sé una fondamentale e contraddittoria modalità dell’ esistenza; l’ Antigone di Sofocle – insieme al Vangelo lo scavo forse più profondo nell’ abisso dell’ umano – comincia con una parola, inventata dal poeta, che indica l’ essere sorella, la «sorellanza» quale relazione radicale. Fratello è il termine cristiano per eccellenza che esprime l’ amore e la solidarietà del destino, ma la storia sacra e quella civile del mondo cominciano con un fratricidio, Caino e Abele, Romolo e Remo. Saba, nel momento più fervido della sua lettura di Freud, considerava un brutto segno per gli italiani il fatto che la loro origine mitica fosse un autodistruttivo fratricidio e non la liberatoria uccisione del padre ma si sbagliava, perché il fratricidio, letterale e metaforico, è più universale del parricidio e gli uomini devono ancora imparare la fraternità.

La «fratellitudine» e la «sorellitudine» sono sempre complesse e, come scrivono i due autori, comprendono «a volte affetti tenaci, altre rancori profondi, talvolta indifferenze totali».

Le cose possono farsi complicate quando subentrano grandi differenze di successo, di genialità, di ruolo; quando si ha un fratello che si chiama Napoleone Bonaparte oppure Ludwig van Beethoven, Al Capone, Luigi XIV, Adolf Hitler, Marcel Proust; quando la conflittualità immanente a ogni rapporto umano (e nel caso dei fratelli addomesticata, ma anche potenziata dal groviglio famigliare) viene acuita da una reale o pretesa ma comunque sbandierata superiorità dell’ uno sull’ altro, come scriveva Stanislaus Joyce, peraltro così malamente ricompensato nella sua generosità da James: «È terribile avere un fratello maggiore più intelligente, raramente mi viene riconosciuta un po’ di originalità».

È a questo rapporto impari – e spesso infero, perché, come dice la terribile frase della Scrittura, «a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha» – che Bungaro e Jacomuzzi dedicano il loro libro lieve e profondo, conciso ed epico come una serie di lapidi. In quel concentrato dell’ umano che è il rapporto tra fratelli emergono tutte le diversità e le contraddizioni dell’ umanità. La cattiveria di Beethoven, la solidarietà di Sydney e Charlie Chaplin, la totale oscurità in cui resta Jean-Nicolas Frédérick Rimbaud rispetto ad Arthur; la freddezza pur alla fine complice tra Franco e suo fratello Ramón inizialmente anticlericale e di sinistra; le scelte opposte di Gramsci comunista e di suo fratello fascista o di Giovanni Pirelli che si rivolta contro il sistema capitalista; Albert Göring, fratello del gerarca nazista e forse figlio di un ebreo; la frequente prevaricazione dei famosi sugli oscuri, spesso esasperata sino alla crudeltà o al delitto quando è in gioco il denaro o il potere politico, come rivela tanta letteratura; anche se invece il rapporto fra Benito e Arnaldo Mussolini è uno di quelli realmente fraterni e Arnaldo esprime apertamente il dubbio, dopo l’ assassinio di Matteotti, che la coscienza di suo fratello, il mandante, sia pura.

La famiglia può essere vera casa natale o un livido inferno.

I «fratelli nemici» sono un tema ricorrente nella letteratura, da Eteocle e Polinice o Atreo e Tieste allo Sturm und Drang ai Due fratelli di Luca Doninelli alle sorelle nel romanzo Di buona famiglia di Isabella Bossi Fedrigotti, per citare solo alcuni esempi di un filone che si accresce di continuo, sino a Giovanna Ioli col suo A giro. Tra i fratelli anonimi, c’ è chi soggiace alla prevaricazione oggettiva della disparità, chi ne soffre, chi si consuma nel rancore, chi dimostra un’ incredibile generosità e insieme una totale libertà da ogni complesso, come Mathieu Dreyfus, instancabile nell’ aiutare il fratello perseguitato e robustamente autonomo nella sua vita affettiva e professionale.

La figura più infame è quella del religiosissimo Paul Claudel (e della sua cattolica famiglia): una incredibile crudeltà moralistica nei confronti della sorella Camille, geniale scultrice, amante di Rodin, di una dolorosa fragilità esistenziale, brutalmente reclusa in manicomio dall’ illustre e devoto fratello e dalla sua famiglia, per occultare il suo comportamente disdicevole. Quando sono in gioco le sorelle, il rapporto si complica ulteriormente in virtù della tradizionale subalternità della donna, tema affrontato da Rita Calabrese ed Eleonora Chiavetta in un altro stimolante libro uscito qualche anno fa, Della stessa madre, dello stesso padre, dedicato al destino di «tredici sorelle di geni». Anche in questo caso la casistica è varia, come risulta dal libro di Bungaro e Jacomuzzi: il rapporto affettuoso e complice di Catherine Deneuve con la sorella Françoise, di Kafka con Ottla o di Rita Levi Montalcini con Paola; quello stretto fra Leopardi e Paolina e quello troppo stretto fra Pascoli e Maria; il vero e proprio eros fra Lord Byron e Augusta Mary. Talvolta la situazione si rovescia: è la rozza sorella Elisabeth Nietzsche a prevaricare su un genio come il fratello. In generale tuttavia sono le sorelle a soccombere, come rivela pure il libro di Calabrese e Chiavetta: espropriate pure della loro creatività dai fratelli, come Dorothy Wordsworth o Fanny Mendelssohn, immalinconite alla loro ombra come Cornelia Goethe o Ulrike von Kleist, cui il fratello nega il diritto di non sposarsi che invece riserva a se stesso.

Al «sesso che per sua natura occupa il secondo posto nella serie delle creature», come dice Kleist a Ulrike, ovvero alle donne e dunque alle sorelle, si chiede un’ amicizia «piladica» come quella di Pilade, l’ amico che è solo spalla di Oreste. Toccante, nella sua sempre appartata e mai compromessa autonomia, è Paula Hitler quando dice di Adolf: «Cercate di capirmi: in fondo era pur sempre mio fratello». Il libro di Bungaro e Jacomuzzi è un vivaio di potenziali romanzi, i cui personaggi sono talora sbalzati con epica e picaresca evidenza, come Frank James, fratello di Jesse e bandito come lui, che finisce portiere addetto a far pagare l’ entrata ai visitatori della fattoria di famiglia («Staccò biglietti fino alla morte, il 18 febbraio 1915») o Alois jr Hitler, che alla fine vivacchiava firmando a pagamento cartoline col ritratto del defunto Adolf. Anche Ramón Guevara, quella sera, avrebbe potuto dire «Lei non sa chi è mio fratello», anche se non aveva affatto l’ aria di volerlo dire. Ma una ragione più profonda di dire queste parole l’ avrebbe avuta Elvis Presley, il re del rock, pensando al gemello Jesse Garon, nato e morto nello stesso giorno e sepolto sotto una stele senza nome.

Il più misterioso, il più grande, quello di cui vorremmo sapere cosa è stato nella sua vita brevissima ma non meno degna della più longeva è quel fratello sconosciuto a tutti e in qualche modo fratello di tutti. Questi sono i miei fratelli e le mie sorelle, dice Gesù, indicando persone a lui legate da amicizia e affinità spirituale, non da vincoli di sangue.

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