Non importa se nella legge è scritto che la forma di prima scelta per ottemperare all’obbligo del mantenimento dei figli è quella diretta, ovvero l’acquisto di quel che serve i figli. I giudici possono, a loro insandacabile giudizio, optare per il mantenimento indiretto, ovvero per la corresponsione di un assegno all’ex che, nell’interesse del minore, provvedera’, anch’ella a suo insandabile giudizio, ad acquistare quel che i genitori avrebbero dovuto fare insieme.
E se il genitore escluso dovesse incaponirsi, sempre nell’interesse del minore, il giudice – a suo insindacabile giudizio e sollecitato dal genitore deluso dal mancato versamento dell’assegno – ha la facoltà di revocare l’affidamento condiviso consegnando i figli alle sole cure del genitore con credito non soddisfatto.
In sostanza, afferma la Corte di Cassazione, non ha diritto ad ottenere l’affidamento condiviso dei figli (art. 155 c.c. come modificato dalla l.54/2006) il genitore che non versa “per ripicca” l’assegno di mantenimento all’ex.
Con la sentenza n. 20075, depositata il 30 settembre 2011, dopo la sentenza di dei primi di settembre (che esclude l’affido condiviso in caso di conflittualità tra genitori), la Cassazione è tornata ad occuparsi di bigenitorialità affermando che la preferenza per l’affido condiviso non esclude la possibilità per il giudice della separazione di adottare regimi diversi, avuto riguardo all’interesse dei minori.
Secondo i giudici infatti, l’elemento principale sulla cui base decide il regime familiare deve essere l’interesse dei minore. E se per ottenere il rispetto formale delle disposizioni del giudice è necessario minacciare il genitore finanziariamente obbligato della perdita del rapporto significativo ed equilibrato con i figli, il giudice può comunque farlo. Per questo motivo, gli Ermellini, confermando quanto disposto in appello, hanno quindi negato la bigenitorialità affidando i figli solo alla moglie e rigettando il ricorso del marito.
Art. 629 Codice Penale. Estorsione.
Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065 [c.p. 29, 32] .
La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente [c.p. 307, 640, n. 2]